Be Kind! Educare Alla Gentilezza
Educare alla gentilezza
Il 13 novembre si festeggia la “Giornata Mondiale della Gentilezza”, un momento dedicato alla riflessione sul concetto di gentilezza e sulla promozione di atti basati su empatia ealtruismo che possono migliorare sia la vita delle persone intorno a noi, sia la nostra. La gentilezza riguarda, infatti, la disponibilità e l’attenzione verso gli altri ma, nello stesso tempo, richiede una certa attenzione e cura rivolta a noi stessi: solo riconoscendo e accettando le nostre emozioni ed esigenze, saremo in grado di riconoscerle nell’altro e dimettere in atto comportamenti realmente di aiuto e sostegno (Malti, 2020).
La gentilezza: aspetti evolutivi e biologici
Ma gentili si nasce o si diventa?
Dal punto di vista evolutivo la gentilezza è considerata un comportamento che ha contribuito alla sopravvivenza e all’adattamento dell’essere umano. La stessa teoria darwiniana dell’evoluzione, in cui si è generalmente messo l’accento sulla selezione naturale e la sopravvivenza del più forte, è stata, nel tempo, reinterpretata: Darwin, in “L’origine dell’uomo” (1871), ipotizzava che la messa in atto di comportamenti gentili potesse aver svolto un ruolo chiave fornendo un vantaggio evolutivo, non tanto per il singolo individuo, ma per il gruppo o la comunità in cui queste condotte erano prevalenti;l’aiuto reciproco, la difesa dei più deboli e la collaborazione garantivano la sopravvivenza del gruppo e la conservazione della specie.
Spostandoci sul piano neurobiologico, studi di Rizzolatti e colleghi (2008) hanno mostrato come particolari neuroni, detti neuroni specchio, si attivino sia quando compiamo un’azione sia quando osserviamo un’altra persona compierla e ciò ci permetterebbe di immedesimarci negli altri e dicomprendere le loro emozioni. Questo meccanismo sembra essere alla base dell’empatia e, di conseguenza, della gentilezza: il comprendere le emozioni degli altri ci motiva a rispondere ai loro bisogni in maniera altruistica (Iacoboni, 2008). Inoltre, alcune ricerche hanno individuato un gene specifico (AVPR1A - Arginine Vasopressin Receptor 1A) legato alla regolazione della vasopressina, un ormone che influisce sui comportamenti sociali, inducendo una sensazione di benessere quando si compie un atto gentile verso gli altri (Knafo, Israel e Ebstein, 2011).
È possibile educare alla gentilezza?
Anche se esiste una predisposizione neurobiologica a manifestare gentilezza, è fondamentale considerare anche l'importanza del contesto sociale in cui siamo inseriti e dei modelli comportamentali appresi durante l'infanzia. Albert Bandura, noto per la “teoria dell'apprendimento sociale” (1977), sostiene che il comportamento umano è in gran parte appreso attraverso l'osservazione e l'imitazione di modelli: i bambini apprendono non solo dalle parole, ma soprattutto dai comportamenti che vedono ripetuti intorno a loro. Ciò significa che, quando osservano adulti significativi che praticano la gentilezza e ricevono gratificazione o approvazione per questi gesti, i bambini sono più propensi a interiorizzare questi comportamenti come valori positivi.
Questo attribuisce una responsabilità ancora più grande alle figure di riferimento educativo, che possono fare davvero la differenza attraverso il loro comportamento.
Educare alla gentilezza, necessita, inoltre e in primis, di un lavoro sul sé, poiché la capacità di trattare gli altri con rispetto spesso nasce da un rapporto sano e positivo con sé stessi: accettare i propri limiti e le proprie qualità, sapersi perdonare e riconoscere il proprio valore sono alla base di una sana autostima, che ci permette di offrire agli altri lo stesso rispetto e comprensione che riserviamo a noi stessi.
Bibliografia